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Ho trovato dei fogli battuti a macchina, quando un paio d’anni fa mi ero messa in testa di non usare più la penna per scrivere, lasciandomi ipnotizzare dal ritmo dei tasti e dell’affondare le dita con forza e avere il tempo di pensare. Quando ancora non avevo un blog. Tre fogli, questo il risultato. E non so di cosa parlano, perché rileggendoli non mi sono riconosciuta in quelle parole.
 
 

Quando sarebbe accaduto? Se lo aspettava da un momento all’altro;
ma proprio non sapeva il momento, non immaginava lontanamente che mancava poco all’imminente fine. Eh, sì: se l’aspettava..
Attendeva con pazienza e intanto viveva come sempre aveva fatto, nessuna differenza, nessun cambiamento d’aspetto né d’umore.
Contava ogni battito del cuore, assecondava il ticchettìo dell’orologio, scandiva ogni istante con dei gesti ritmati. E aspettava.
Accadevano, talvolta, fatti strani, quasi premonitori, ma poi tutto tornava come prima e l’attesa diventava l’unico tormento delle sue giornate senza fine; quando era solo odiava la solitudine. Non osava ammettere che non aveva il coraggio di fare lui il primo passo, non sapeva da che parte cominciare, quali parole inserire nel discorso, come prendere l’argomento.. se solo fosse arrivata la “giusta occasione”, avrebbe certamente colto l’attimo e tutto sarebbe andato per il verso giusto, pensava; ma non intuiva che quell’occasione aspettava proprio lui; sì, che si decidesse a fare la prima mossa, visto che ormai aveva capito cosa non andava in tutto questo. E aspettava.

Più volte ebbe modo di pensare che era ora di smetterla, che così non poteva continuare, ma pazientemente sperava che fossero gli altri a rendersene conto. E aspettava.

(è solo il primo dei tre. arriveranno anche gli altri due)

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